Natale Nel Mondo 2023/2024
 
 
 
 
 
 
   

"Edizione 2006 - Venturino Venturi espone tre presepi"

Venturino espone tre presepi, e li mostra alla sua gente. Il significato della mostra è tutto qui. Essi scaturiscono da quella terra saporosa che gli ha dato i natali, calda nella nostalgia come la culla dell’infanzia, alla quale tornare, sempre. L’arte di questo singolare artista, forgiata al fuoco dell’umano tormento, si nutre da sempre della sua terra, del suo fiume e della sua montagna. Straordinario disegnatore, si fa scultore per affondare le mani negli umori della terra, per impastare la grassa argilla e per scheggiare con la forza delle sue membra d’acciaio la pietra. Sono tre presepi, e narrano la lunga e tormentata vita di Venturino.
Il più antico, emerso dalla recondita penombra della sua casa, dove occhieggiava con le lunate corna della mucca, risale ad anni remoti, quando forme depurate nascevano dalla tensione dell’incessante ricerca dell’assoluto, spietata forgia a consumare le figure; un assoluto che per Venturino sempre si origina dal mistero dell’uomo. Il bambino, con le mani nel gesto della benedizione e il volto illuminato da un sorriso senza tempo; Maria, chiusa nel suo manto con la testa china in adorazione non della divinità di suo figlio, ma del mistero della nascita; e Giuseppe, uomo tra gli uomini, pudico e ritroso come sempre è il padre dinanzi al figlio appena nato. La mucca e l’asinello, umili animali della quotidianità, sono ritratti nel riposo dopo una giornata di fatica, generosi nell’ultimo servigio offerto. Il secondo presepe nasce dall’argilla grassa del Pratomagno, benedetta dalle acque del Ciuffenna. Pare di vederlo, Venturino, con le mani affondate sino ai polsi nella terra. Si leggono ancora nel bronzo le impronte delle dita, a modellare le grevi figure della sua sacra rappresentazione. Una rappresentazione sacra come lo erano quelle che nel medioevo si tenevano sui sagrati delle chiese, quando uomini e donne avvezzi alla fatica dei campi dismettevano le vesti usuali per indossare quelle di Gesù o della Madonna, santificando così la propria onesta vita. L’uomo che porta sulle spalle la legna, il passo pesante, il piede affondato nella terra per il grave carico e le braccia rovesciate a reggere con le grandi mani le fascine, basta ad esprimere con il suo gesto il senso di questo presepe contadino, laddove la quotidiana fatica s’acquieta nella contemplazione del miracolo della natività.
Infine l’opera più recente, anche questa benedetta dalla terra del Pratomagno, affollata di figure, con i pastori, i contadini e i re magi che arrivano da lontano; felice nella descrizione dei personaggi resi con la leggerezza di quell’animo fanciullo che Venturino ha saputo ritrovare nella sua tarda età. I re magi portano una grande corona, di quelle che un bambino immagina adatta ad un Re. La folla che accoglie la nascita di Gesù è festosa, ma affonda i piedi nella terra e da questa con fatica si leva verso il cielo delle persone semplici. Il pifferaio è un capolavoro assoluto.
E’ Venturino che suona il piffero, riconosco lo zucchetto nero della mia infanzia, così come la posa disarticolata per la gamba offesa dalla guerra, e uno di quei pifferi che egli continuava a fabbricare e a suonare. Il pifferaio è l’artista che, suscitando dalla terra altrimenti informe figure a non finire, le anima di quel soffio che le rende eterne.
Venturino ha voluto così ancora una volta offrire un dono, mostrando i suoi presepi sino a ieri gelosamente custoditi nell’intimità della sua casa, e li mostra per la gioa della sua gente.

Lucia Fiaschi

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