"ARNOLFO DI CAMBIO IL PRIMO PRESEPIO"
All’interno della Cappella Sistina della Basilica di S. Maria Maggiore a Roma, scendendo le scale, si giunge in una cripta dove è custodita un’opera dal valore unico: la Natività di Arnolfo di Cambio, geniale artista toscano nato a Colle Val d’Elsa intorno al 1245.
Il suo retaggio culturale unito ad una capacità scultorea senza pari, lo rendevano la personalità più adatta ad interpretare il disegno francescano di un Presepe che rappresentasse, per mezzo di statue, l’evento della nascita di Gesù. Il maestro toscano avviò una produzione ispirata nelle forme al classicismo antico con una coscienza nuova dello spazio circostante ed una saldezza volumetrica eccezionali.
Le figure arnolfiane interagiscono nello spazio quasi fossero scolpite in tutto tondo, anche se in molti casi sono solo ottenute in altorilievo su fondi marmorei dipinti. Le opere rispondono sempre al criterio definito di “visibilità”, cioè vengono realizzate solo nelle parti che risultano visibili e mediante una lavorazione studiata in base a determinati assi visivi, oltre i quali le immagini si deformano, perdendo consistenza e linearità. Sono questi criteri, insieme alla perdita dell’impostazione frontale, che dominarono le opere della maturità di Arnolfo di Cambio e caratterizzarono la realizzazione del Presepe di Santa Maria Maggiore. E’ giusto sottolineare che non si conosce esattamente la disposizione delle statue nell’ambito della cappella, anche se è logico supporre che i pezzi fossero distribuiti in tutto il loro spazio disponibile, creando in tal modo un effetto di coinvolgimento per il visitatore che, entrando, veniva anche lui a far parte della scena. Cade così l’ipotesi che voleva tutta la sacra rappresentazione raccolta in una piccola abside posta sulla piccola parete ovest dell’oratorio: questa sistemazione non rispetterebbe il criterio dei “punti di vista” secondo cui le opere venivano realizzate trovandosi completamente ammassate e in posizione frontale.
Prima di giungere al Presepe, si accede alla cripta che è sovrastata da un grande arco a sesto ribassato. Per tutta la lunghezza dell’arco, inserito nel rivestimento marmoreo, corre una fascia di stelle di pasta vitrea policroma a “lumeggiatura”. Al di sopra della fascia, entro nicchie triangolari dal fondo rivestito di mosaico aureo, appaiono i primi due pezzi della produzione arnolfiana. Si tratta di due figure di profeti, inginocchiati e protesi in avanti per meglio adattarsi allo spazio ristretto dei rinfianchi dell’arco, porgenti lunghi cartigli scritti.
A terra, nel centro del piccolo ambiente quadrangolare, è visibile una splendida “ruota del re”: si tratta di un bel disco di porfido rosso. La presenza di un siffatto elemento, nella simbologia dei Cosmati, indica l’elezione al rango basilicale del luogo in cui si trova e quindi la sua capacità di ospitare, proprio sulla ruota, l’incoronazione di un sovrano.
Certo nel nostro caso non è questa la chiave di lettura, ma probabilmente tale condizione è da collegarsi alla visione simbolica della Natività. Ultimo arredo dei maestri marmorari è l’altare che si presenta riccamente ornato. Dietro questa cappella così pregiatamente decorata , al centro di un corridoio semianulare, si trova la piccola nicchia (ampia 1,5 metri e profonda altrettanto) in cui sono raccolti i quattro pezzi marmorei superstiti del Presepio di Arnolfo di Cambio. Le figure della Vergine col Bambino, il bue e l’asino, dovevano forse trovarsi in una sorta di ampia nicchia rettangolare, posta di fronte all’ingresso; subito fuori, a destra, erano invece le figure di due Magi scolpite probabilmente da un allievo. Nell’angolo opposto l’immagine di Giuseppe che si protende dalla nicchia verso il pubblico crea una suggestione di movimento e di dialogo silenzioso con lo spazio circostante, essendo egli stesso spettatore della scena divina. Al lato opposto si inserisce il terzo Magio, posto al limite della nicchia e volto verso il Bambino. E’ uno dei pezzi più belli, scolpito a tutto tondo ma, secondo il criterio di “visibilità”, non lavorato sul fianco destro che risulta invisibile. L’immagine ha una grande forza espressiva: raccolta in ginocchio, assume una plasticità intensa e eccezionalmente volge le spalle al pubblico, mostrando la schiena e le piante dei piedi, in un gesto che abbraccia e coinvolge i presenti. Proprio dalla posizione del Magio inginocchiato e dall’andamento del suo sguardo è possibile immaginare che la figura della Vergine, perduta e sostituita con una statua del ‘500, dovesse essere stata realizzata secondo una tipologia alto-medievale, come puerpera sdraiata sul fianco e volta a sinistra verso la mangiatoia con Cristo Bambino spiccante dal pavimento.
Il progetto arnolfiano del Presepe fu un’opera di eccezionale valore artistico, che riscoprì dopo lungo tempo l’idea della spazialità e della visione prospettica, di cui si riappropriò la tradizione italiana, oltre a costituire l’archetipo di una nuova cultura plastica e narrativa sacra.
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